La sentenza n. 16343 del 29 marzo 2023, emessa dalla Corte di Cassazione, offre un'importante riflessione sulla desumibilità degli atti nell'ambito delle misure cautelari personali. In particolare, la Corte ha esaminato la questione della necessità di elaborazione dei dati trasmessi tramite il sistema 'encrochat', evidenziando come tali comunicazioni possano influenzare l'adozione di provvedimenti cautelari.
Il concetto di desumibilità degli atti è cruciale nel diritto penale, in quanto determina la possibilità di utilizzare certe informazioni come prova per giustificare misure cautelari. Secondo la Corte, affinché un provvedimento cautelare possa essere adottato, è necessario che l'autorità giudiziaria possa desumere, e non solo conoscere, la significanza processuale degli elementi indiziari. Questo implica che i dati devono già manifestare una chiara idoneità a fondare una richiesta di misura cautelare.
Un aspetto centrale della sentenza riguarda le comunicazioni provenienti dal sistema 'encrochat'. La Corte ha ritenuto che la complessità nell'acquisizione di tali dati, attraverso ordini europei di indagine, possa influenzare la capacità di desumere significato processuale. Questo porta a una riflessione sul bilanciamento tra la necessità di garantire la sicurezza e i diritti degli indagati, evidenziando come la giurisprudenza si trovi spesso a dover gestire situazioni intricate.
Desumibilità degli atti - Nozione – Contenuti delle comunicazioni c.d. “encrochat” – Necessità di elaborazione dei dati – Sussistenza - Condizioni - Fattispecie in tema di acquisizione di dati trasmessi con sistema "encrochat". In tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare e, la nozione di "anteriore desumibilità", dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva, richiede che, al momento del rinvio a giudizio nel primo procedimento, l'autorità giudiziaria sia in grado di desumere, e non solo di conoscere, la specifica significanza processuale, intesa come idoneità a fondare una richiesta di misura cautelare, degli elementi relativi al reato sul quale si fonda l'adozione del successivo provvedimento cautelare per reato connesso, il cui compendio indiziario deve manifestare già la propria portata dimostrativa e non richiedere ulteriori indagini o elaborazione degli elementi probatori acquisiti, che rendano necessaria la separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato connesso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva escluso, in relazione al reato di cui all'art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza dell'ipotesi di "contestazione a catena", in ragione della complessità dell'attività di successiva acquisizione, a mezzo ordine europeo di indagine, di comunicazioni su sistema "encrochat", a ricontro dell'informativa che segnalava l'esistenza del sodalizio).
La sentenza n. 16343 del 2023 rappresenta un passo importante nella definizione dei limiti e delle possibilità di utilizzo delle comunicazioni digitali nel contesto delle misure cautelari. La Corte ha sottolineato la necessità di un'analisi approfondita e di una chiara desumibilità degli atti, ponendo un interrogativo cruciale riguardo alla complessità delle indagini moderne e alla loro capacità di sostenere provvedimenti cautelari. Questo approccio non solo tutela i diritti degli indagati, ma contribuisce anche a una migliore amministrazione della giustizia.