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Commento alla Sentenza Cass. pen., Sez. VI, n. 35375 del 2024 sul favoreggiamento

La sentenza della Corte di Cassazione del 20 settembre 2024, n. 35375, si pronuncia sul delicato tema del favoreggiamento personale, in particolare in relazione alla conoscenza da parte degli imputati del reato per cui il latitante era ricercato. La Corte ha confermato la condanna di due soggetti, A.A. e B.B., che avevano assistito C.C., ricercato per associazione mafiosa, nella sua fuga dalle autorità.

Il contesto della sentenza

La Corte d'Appello di Napoli aveva già condannato i due imputati, sostenendo che la loro condotta di assistenza logistica e materiale fosse finalizzata a eludere le ricerche delle autorità. I ricorrenti, tuttavia, hanno contestato l'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 378, comma 2, cod. pen., sostenendo che non vi fossero prove sufficienti che dimostrassero la loro consapevolezza riguardo al reato di associazione camorristica del latitante.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della legge penale, la motivazione risultando esente da vizi sindacabili in sede di legittimità.

Le argomentazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, affermando che non fosse necessario provare che gli imputati fossero a conoscenza del reato specifico di C.C. È sufficiente che essi avessero elementi che indicassero la possibilità che il latitante fosse ricercato per un reato grave. La Corte ha evidenziato come la riservatezza nelle comunicazioni e le precauzioni adottate dagli imputati suggerissero una consapevolezza implicita della gravità della situazione.

Tra le motivazioni addotte, la Corte ha sottolineato:

  • Il contesto relazionale stretto tra i ricorrenti e il latitante.
  • L'adozione di misure precauzionali da parte degli imputati.
  • Il linguaggio criptico utilizzato nelle conversazioni.

Conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 35375 del 2024 rappresenta un importante precedente nella giurisprudenza italiana in tema di favoreggiamento. Essa chiarisce che la mera conoscenza della situazione di rischio del latitante, unita a un rapporto fiduciario, può essere sufficiente per configurare il reato. Questo approccio potrebbe avere ripercussioni significative sui casi futuri e invita a una riflessione più ampia sul ruolo della consapevolezza e della responsabilità nelle condotte di favoreggiamento.