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Commento alla Sentenza Cass. pen., Sez. VI, n. 37154 del 2023: Misure cautelari e favoreggiamento mafioso

La recente sentenza della Corte di Cassazione, pronunciata il 12 settembre 2023, ha sollevato importanti questioni riguardanti la responsabilità penale e le misure cautelari personali. In particolare, il caso di A.A., accusata di favoreggiamento personale aggravato nei confronti di un latitante, evidenzia come il giudizio di gravità indiziaria possa influenzare le decisioni del tribunale. La Corte ha confermato la validità delle accuse, riconoscendo la sussistenza di elementi tali da giustificare l'applicazione degli arresti domiciliari.

Il contesto giuridico della decisione

Il Tribunale di Bari, in parziale accoglimento dell'appello del Pubblico Ministero, aveva già disposto gli arresti domiciliari per A.A., ritenuta gravemente indiziata di favoreggiamento di D.D., un soggetto latitante. La condotta di A.A. includeva atti concreti per supportare la latitanza, come fornire rifugi e strumenti di comunicazione. La Corte ha ribadito che il favoreggiamento può consistere in qualsiasi atto che ostacoli le indagini, evidenziando come la mera relazione affettiva non possa escludere la responsabilità penale.

La condotta del reato di favoreggiamento personale deve consistere in un'attività che frapponga un ostacolo allo svolgimento delle indagini.

I motivi del rigetto del ricorso

A.A. ha presentato ricorso articolando diversi motivi, tutti rigettati dalla Corte. In particolare, il primo motivo riguardava la presunta mancanza di gravità indiziaria. Tuttavia, la Corte ha evidenziato che le intercettazioni telefoniche dimostravano chiaramente un supporto attivo da parte della ricorrente nella latitanza di D.D. L'azione di A.A. non si limitava a una mera affettività familiare, ma si configurava come parte integrante di un'operazione di favoreggiamento nei confronti di un esponente di un'associazione mafiosa.

Implicazioni e conclusioni

La sentenza sottolinea l'importanza di considerare il contesto in cui avvengono le condotte di favoreggiamento, distinguendo tra relazioni familiari e atti giuridicamente rilevanti. La Corte ha chiarito che la causa di non punibilità prevista dall'art. 384 c.p. non si applica automaticamente a chi agisce per salvaguardare un familiare, ma richiede una valutazione attenta delle circostanze specifiche.

  • Fondamentale è l'elemento soggettivo del reato.
  • Non è sufficiente la relazione affettiva per escludere la responsabilità penale.
  • L'analisi delle intercettazioni ha giocato un ruolo cruciale nella decisione.

Conclusioni

Il caso di A.A. rappresenta un'importante riflessione su come la giurisprudenza italiana interpreti le misure cautelari e i reati di favoreggiamento. La Corte di Cassazione ha ribadito che la responsabilità penale può derivare da condotte che, sebbene motivate da legami familiari, hanno una chiara finalità di ostacolo alle indagini. Questo approccio è cruciale per garantire l'efficacia del sistema giudiziario nella lotta contro la criminalità organizzata.