La sentenza n. 13806 del 13 marzo 2025 (dep. 8 aprile 2025) della Corte di cassazione, Prima Sezione, offre un chiarimento decisivo sul funzionamento della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, istituto sempre più utilizzato a seguito della riforma Cartabia. Con questa pronuncia, la Corte respinge il ricorso di G. L. confermando la revoca della misura alternativa disposta dal Tribunale di Massa per inerzia ingiustificata dell’imputato. Di seguito analizziamo il ragionamento dei giudici, i riferimenti normativi e le implicazioni operative per i professionisti del diritto penale.
Il lavoro di pubblica utilità è disciplinato dall’art. 20-bis c.p., richiamato dagli artt. 54-bis e 188 disp. att. c.p.p. e, per la fase esecutiva, dall’art. 63 della l. 689/1981. La sentenza richiama altresì l’art. 661, comma 1, c.p. nella parte in cui stabilisce l’onere del condannato di eseguire la statuizione giudiziale.
In tema di lavoro di pubblica utilità sostitutivo, il condannato, dopo aver ricevuto la copia della sentenza e l'ingiunzione a presentarsi presso l'ufficio di esecuzione penale esterna, ha l'onere di attivarsi per dare impulso alla procedura esecutiva, non essendo previsto alcun ulteriore adempimento a carico di organi dello Stato. (Fattispecie relativa a provvedimento di revoca della pena sostitutiva a seguito della accertata ed ingiustificata inerzia da parte del condannato).
Commento: la Corte ribadisce un principio di responsabilizzazione: lo Stato offre l’alternativa al carcere, ma pretende dall’interessato un comportamento diligente. L’inerzia, anche se dovuta a mera negligenza, fa venir meno la fiducia insita nella misura e legittima la revoca ex art. 20-bis, comma 7, c.p. Il giudice dell’esecuzione non è tenuto a sollecitare il condannato né a sostituirne l’iniziativa.
La decisione si colloca in linea con i precedenti richiamati (Cass. n. 15861/2021 e n. 9295/2025), nei quali la Suprema Corte aveva già escluso che l’UEPE o la Procura debbano «inseguire» il condannato. L’orientamento si fonda sul principio di autoresponsabilità, valorizzato anche dalla Corte EDU (sent. Scoppola c. Italia, 2009) in tema di misure alternative.
Alla luce della sentenza, è essenziale che l’avvocato:
Per i condannati, la lezione è chiara: perdere tempo significa rischiare di vedersi sostituire la sanzione alternativa con la pena detentiva originaria, con effetti immediati sulla libertà personale.
La pronuncia n. 13806/2025 consolida un orientamento rigoroso ma coerente con la ratio delle pene sostitutive: favorire il reinserimento sociale responsabilizzando il condannato. Chi opta per il lavoro di pubblica utilità deve farsene carico in prima persona, senza attendere ulteriori solleciti dallo Stato. Per gli operatori del diritto penale, ciò impone una strategia difensiva proattiva, mirata a evitare che un semplice ritardo si trasformi in una revoca irreversibile.