Con la sentenza n. 12290 del 4 febbraio 2025 (dep. 28 marzo 2025), la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull’aggravante comune di cui all’art. 61, comma 1, n. 11 c.p., delineando un perimetro applicativo particolarmente ampio. La decisione, che conferma la condanna emessa dalla Corte d’Appello di Caltanissetta nei confronti di G. P., ribadisce che l’agevolazione derivante da pregresse relazioni di coabitazione può qualificarsi come circostanza aggravante anche quando la convivenza sia cessata da tempo.
L’imputato, già coinquilino delle persone offese, si era impossessato di denaro e gioielli servendosi delle conoscenze acquisite durante la vita domestica condivisa. La difesa contestava l’applicabilità dell’aggravante: la coabitazione, sosteneva, era finita prima del furto. La Suprema Corte ha tuttavia confermato la sentenza di merito, ritenendo che la cessazione della convivenza non escluda l’abuso di relazioni domestiche, purché la relazione pregressa abbia concretamente agevolato l’azione delittuosa.
L'aggravante comune dell'abuso di relazioni domestiche è configurabile anche se lo stato di coabitazione con la persona offesa sia cessato prima del compimento della condotta illecita. (Fattispecie in tema di furto, nella quale la Corte ha ritenuto che la preesistente coabitazione con le persone offese avesse agevolato la commissione del reato, in quanto l'agente era a conoscenza dei luoghi dove erano custoditi il denaro e i gioielli sottratti alle vittime).
La massima chiarisce che il legame fiduciario instaurato in ambito domestico produce effetti giuridici anche oltre la durata materiale della convivenza: ciò che conta è l’agevolazione causale nella commissione del reato.
La norma punisce più severamente chi, «con abuso di autorità, relazioni domestiche, coabitazione o ospitalità», commette reati contro il patrimonio o la persona. La pronuncia in commento evidenzia due requisiti fondamentali:
La ratio è tutelare la fiducia riposta nella sfera domestica, la cui violazione assume maggiore disvalore sociale. Coerentemente, la Corte aveva già espresso analoghi principi nelle pronunce n. 41586/2017, 44042/2024 e 6433/2008.
La sentenza impone alle difese una maggiore attenzione nell’allegare prove che escludano il collegamento causale tra convivenza e reato. Sarà cruciale dimostrare, ad esempio, che l’imputato non disponeva più di informazioni privilegiate o che tali informazioni fossero divenute obsolete.
Per la pubblica accusa, viceversa, l’onere consisterà nel provare che la conoscenza dei luoghi o delle abitudini delle vittime derivava proprio dalla precedente relazionalità domestica, potendo avvalersi di testimonianze, messaggi o altre risultanze documentali.
La Cassazione n. 12290/2025 consolida un orientamento di rigore: l’aggravante dell’abuso di relazioni domestiche non si esaurisce con la fine della convivenza, ma si proietta nel tempo qualora la relazione abbia lasciato un patrimonio informativo utile al reato. Il principio rafforza la tutela penale della fiducia e invita sia i difensori sia i pubblici ministeri a valutare con precisione il legame tra rapporto pregresso e condotta illecita. Un monito, dunque, per chi pensa di sottrarsi a una pena più severa solo perché ha voltato pagina sul piano abitativo.