Con la pronuncia n. 13303 depositata il 7 aprile 2025, la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione affronta di nuovo il tema, tutt’altro che teorico, della detenzione abusiva di armi in presenza di più pezzi d’arma rinvenuti contestualmente. Il Collegio, presieduto da P. R. e redatto da C. F., conferma la linea giurisprudenziale più recente: quando le armi sono custodite nello stesso luogo e nello stesso momento si configura un reato unico, in applicazione dell’art. 2 della legge n. 895/1967, fermo restando che il numero di armi rileva nella determinazione del trattamento sanzionatorio.
I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso dell’imputata S. P. – condannata in appello a Milano – ritenendo corretta la qualificazione di un solo reato. Il focus è sul criterio spazio-temporale: occorre verificare se la detenzione avvenga «in un unico contesto temporale e locale». In tal caso, anche dieci pistole costituiscono una sola fattispecie, perché l’offesa al bene giuridico – l’ordine pubblico e la sicurezza collettiva – si manifesta in modo unitario.
La Corte puntualizza però che lo scenario cambia se le armi vengono trovate in territori diversi. In tal ipotesi, il controllo ricade su distinte articolazioni di pubblica sicurezza e pertanto ogni condotta integra un nuovo reato autonomo, generando un concorso formale. Il principio si raccorda con le Sezioni Unite n. 41588/2017, che avevano già tracciato un confine netto tra il concetto di permanenza e quello di pluralità di azioni criminose.
La detenzione illegale di più armi, in un unico contesto temporale e locale, integra un singolo reato e il numero delle armi può rilevare ai fini della determinazione della pena. (In motivazione, la Corte ha affermato che, diversamente, la detenzione delle armi in territori differenti configura più condotte di reato, in quanto il controllo sulla disponibilità delle stesse spetta alle diverse articolazioni dell'autorità di pubblica sicurezza, in relazione al territorio di competenza).
Commento: la massima esprime due coordinate. Da un lato, tutela l’imputato dal rischio di una moltiplicazione irragionevole dei titoli di reato quando la condotta è sostanzialmente unitaria; dall’altro, valorizza il numero di armi come circostanza aggravante in concreto, permettendo al giudice di calibrare la pena sulla pericolosità effettiva. In questo modo si bilancia l’esigenza di certezza con quella di proporzionalità, cardini dell’art. 27 Cost. e dell’art. 49 della Carta di Nizza.
Per il difensore, la sentenza offre un utile riferimento in sede di strategia processuale: dimostrare l’unicità spazio-temporale può ridurre drasticamente l’esposizione sanzionatoria. Dal lato dell’accusa, invece, sarà decisivo individuare eventuali domicili diversi dell’indagato per sostenere la pluralità di reati. Le forze di polizia dovranno documentare accuratamente il luogo di rinvenimento, mentre il giudice valuterà, ai sensi dell’art. 133 c.p., quantità, qualità e potenziale offensivo delle armi.
La Cassazione n. 13303/2025 consolida un orientamento volto a evitare duplicazioni punitive, senza però attenuare la gravità intrinseca della detenzione illecita di armi. Il professionista legale dovrà pertanto giocare su due tavoli: da un lato accertare l’unitarietà della condotta per contenere il perimetro dell’imputazione, dall’altro preparare argomentazioni sulla proporzionalità della pena, valorizzando circostanze attenuanti reali. Un equilibrio non semplice, ma imprescindibile alla luce dei principi costituzionali di legalità e colpevolezza.