Nel panorama giuridico italiano, la questione dell'abolizione di un reato e le sue conseguenze su sentenze già definitive rappresenta un tema di fondamentale importanza, che incide direttamente sui diritti dei cittadini e sull'applicazione dei principi costituzionali. La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17793 del 2025 (depositata il 12/05/2025), si è pronunciata in modo chiaro e inequivocabile, delineando i confini tra due istituti processuali cruciali: la revisione della sentenza e la revoca ad opera del giudice dell'esecuzione. Questa pronuncia, presieduta dalla Dott.ssa G. V. e con Estensore il Dott. A. S., offre spunti preziosi per comprendere la corretta applicazione del diritto penale e processuale.
Il principio di retroattività della legge penale più favorevole, sancito dall'articolo 2, comma secondo, del Codice Penale, stabilisce che «nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più reato». Questo principio, cardine del nostro ordinamento, mira a garantire che il cittadino non subisca le conseguenze penali di un'azione che lo Stato non considera più illecita. Quando un reato viene abrogato (la cosiddetta abolitio criminis), si crea una situazione in cui una condotta precedentemente sanzionata perde la sua rilevanza penale. La domanda che sorge spontanea è: quale strumento giuridico deve essere attivato per rimuovere gli effetti di una condanna definitiva per un fatto non più previsto come reato?
La vicenda esaminata dalla Cassazione riguarda l'imputato M. M., condannato in via definitiva per un reato che, in seguito, è stato abrogato o modificato in modo da non costituire più illecito penale. Di fronte a questa situazione, la Corte d'Appello di Reggio Calabria aveva dichiarato inammissibile un'istanza di revisione. La Cassazione ha confermato tale orientamento, chiarendo che la revisione della sentenza, disciplinata dall'art. 629 c.p.p., non è il rimedio processuale adeguato in caso di abolitio criminis. La revisione, infatti, è un mezzo straordinario di impugnazione volto a correggere errori giudiziari basati su nuove prove o fatti sconosciuti al momento del giudizio, non a recepire modifiche normative successive.
E' inammissibile l'istanza di revisione di una sentenza irrevocabile nel caso di successiva abrogazione del reato, in quanto l'unico rimedio esperibile per dare attuazione al disposto dell'art. 2, comma secondo, cod. pen. è costituito dalla revoca ad opera del giudice dell'esecuzione, a norma dell'art. 673 cod. proc. pen. (Fattispecie in tema di abuso d'ufficio).
La massima della Sentenza n. 17793 del 2025 è perentoria e chiara: l'istanza di revisione non può essere utilizzata per l'abolizione del reato. Il Supremo Collegio ha ribadito che l'unico strumento idoneo a dare attuazione al principio di retroattività della legge penale più favorevole (art. 2, comma 2, c.p.) è la revoca della sentenza da parte del giudice dell'esecuzione, come previsto dall'art. 673 del Codice di Procedura Penale. Questo articolo, infatti, stabilisce che «nel caso di abrogazione o di dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti». La fattispecie specifica esaminata, in tema di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), rende l'esempio particolarmente calzante, data la recente evoluzione normativa che ha interessato tale reato. La distinzione è cruciale perché garantisce la corretta applicazione del diritto e impedisce l'uso improprio di strumenti processuali non idonei allo scopo.
Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche per chi si trova in una situazione simile a quella di M. M. Se un cittadino è stato condannato con sentenza irrevocabile per un reato che successivamente viene abrogato, non dovrà presentare un'istanza di revisione, bensì una richiesta di revoca al giudice dell'esecuzione competente. Il giudice dell'esecuzione ha il compito di verificare la sussistenza della abolitio criminis e, in caso positivo, di revocare la sentenza di condanna, con tutte le conseguenze del caso, come la cessazione dell'esecuzione della pena e la cancellazione degli effetti penali della condanna.
La Sentenza n. 17793 del 2025 della Corte di Cassazione riafferma con forza un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico: la necessità di un'applicazione rigorosa e specifica degli strumenti processuali. La chiarezza con cui viene distinta la funzione della revisione da quella della revoca da parte del giudice dell'esecuzione, in caso di abrogazione del reato, offre una guida preziosa per avvocati, magistrati e, soprattutto, per i cittadini. Comprendere questa distinzione è essenziale per tutelare i propri diritti e garantire che la giustizia sia sempre in linea con l'evoluzione legislativa, assicurando che nessuno sia punito per un fatto che la legge non considera più illecito.