Con la pronuncia n. 11237 del 20 gennaio 2025 (dep. 20 marzo 2025), la Quinta Sezione penale della Corte di cassazione rigetta, dichiarandolo inammissibile, il ricorso proposto dall’imputato D. T. avverso la decisione della Corte d’appello di Salerno che aveva già dichiarato l’impugnazione improcedibile. Il caso ruota attorno a un unico motivo: la mancata rilevazione della prescrizione del reato maturata in grado d’appello. La sentenza offre un’occasione preziosa per fare il punto su un tema che interessa quotidianamente avvocati penalisti e consulenti: il rapporto tra i vizi di inammissibilità dell’impugnazione e il potere–dovere del giudice di rilevare la prescrizione maturata.
La Corte di cassazione ribadisce che, quando la Corte d’appello dichiara inammissibile l’impugnazione ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), b) o c) c.p.p., e tale declaratoria non è oggetto di specifica censura, non è possibile trasformare il ricorso per cassazione in un “veicolo” per far valere l’estinzione del reato per prescrizione. Il difetto originario di ammissibilità “copre” ogni ulteriore questione.
È inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, con un unico motivo, l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza, non rilevata dal giudice di merito, nel caso in cui sia stata dichiarata l'inammissibilità dell'impugnazione ai sensi dell'art. 591, comma 1, lett. a), b), c) cod. proc. pen. e tale dichiarazione non sia stata in alcun modo censurata.
Tradotto in termini semplici, la Corte afferma che la “porta” della cassazione resta chiusa se prima non si dimostra che l’appello era ammissibile. In assenza di tale premessa, anche l’argomento, pur rilevante, della prescrizione cade nel vuoto.
La decisione si inserisce all’incrocio di due norme fondamentali:
Quando però l’impugnazione è giudicata inammissibile, il processo non prosegue sul merito: il giudice non può (e non deve) entrare nell’esame sostanziale, perché manca il presupposto processuale su cui esercitare il potere di cui all’art. 129. Di qui la compatibilità logica fra la massima in commento e l’obbligo di rilevare d’ufficio la prescrizione.
La pronuncia lancia un messaggio chiaro ai difensori:
Non va dimenticato che la Corte richiama precedenti conformi (Cass. 45763/2018) e, soprattutto, il principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza 12602/2016, segno di un orientamento consolidato che limita le “scorciatoie” processuali.
La Cass. n. 11237/2025 conferma un approccio rigoroso: la prescrizione non può essere lo strumento per aggirare l’inammissibilità dell’impugnazione. Il difensore è chiamato a uno sforzo di precisione sia nei motivi sia nella tempestività degli atti, pena l’irrevocabilità del giudicato. Per gli operatori del diritto, la sentenza ricorda che il concerto fra norme processuali e sostanziali funziona solo se si rispettano le “note” dell’ammissibilità: altrimenti, anche l’istituto di garanzia della prescrizione resta silente.