La Corte di cassazione, con la decisione n. 8851 del 28 febbraio 2025 (dep. 3 marzo 2025), ha annullato con rinvio un provvedimento della Corte d’appello di Roma concernente la consegna di un cittadino ricercato dal Regno Unito. La pronuncia, emessa dalla VI sezione penale e relativa al nuovo meccanismo di cooperazione introdotto dall’Accordo di partenariato UE-UK del 24 dicembre 2020, riveste particolare interesse perché riafferma il ruolo attivo del giudice italiano nel tutelare i diritti fondamentali anche oltre l’Unione europea.
Dopo l’uscita del Regno Unito dall’UE, il Mandato d’Arresto Europeo (MAE) non si applica più in via diretta. Al suo posto opera il Titolo IX dell’Accordo di partenariato, che conserva una logica di consegna rapida, ma senza il tradizionale controllo della Corte di giustizia. Restano comunque vincolanti:
È in questo quadro che la Cassazione ha riesaminato la richiesta di consegna di D. P. M., formulata dalle autorità britanniche.
In tema di mandato di arresto emesso dal Regno Unito in base al c.d. Accordo di partenariato del 24 dicembre 2020, l'esigenza di assicurare la presenza fisica del destinatario nel processo penale a suo carico non esime l'Autorità giudiziaria italiana, Stato di esecuzione, dalla verifica del rispetto del principio di proporzionalità e della assenza di un rischio reale di violazione di uno dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione EDU e/o dalla Carta di Nizza, sicché, ove ritenga che vi sia stata una lesione del citato principio o la violazione di uno di tali diritti, è tenuta a non darvi corso.
Commento: la massima chiarisce che, anche fuori dal MAE, la consegna non è automatica. Il giudice italiano deve valutare se la misura sia proporzionata rispetto alla gravità del reato e se, in concreto, vi sia il pericolo di violazioni di diritti quali il divieto di trattamenti inumani (art. 3 CEDU) o il rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU). In mancanza di tali garanzie, la richiesta va respinta.
La Cassazione richiama un filone giurisprudenziale (sentt. nn. 34466/2021, 31862/2021, 47704/2022) che ha progressivamente ampliato il perimetro del controllo ex ante sul rispetto dei diritti fondamentali. Non basta la mera allegazione di dover celebrare il processo: occorre verificare se la custodia all’estero sia inevitabile e se esistano misure meno afflittive (ad esempio, videoconferenza o interrogatorio rogatoriale).
Sul piano sostanziale, l’art. 1 della l. 69/2005 impone che l’esecuzione di misure restrittive straniere non leda i principi supremi dell’ordinamento; la Corte costituzionale ha più volte sottolineato (sent. 143/2022) che la tutela dei diritti inviolabili prevale su qualsivoglia esigenza di cooperazione.
La pronuncia offre spunti operativi rilevanti:
Inoltre, la sentenza riafferma la possibilità di subordinare la consegna a garanzie diplomatiche scritte, ad esempio circa l’accesso della difesa agli atti o la durata massima della custodia cautelare in UK.
La Cassazione n. 8851/2025 rappresenta un passo decisivo verso un modello di cooperazione penale attento ai diritti della persona anche nell’era post-Brexit. Il messaggio è chiaro: l’integrazione europea dei diritti fondamentali non si arresta alle frontiere doganali. Gli operatori del diritto, chiamati a bilanciare efficienza repressiva e tutela della dignità umana, dispongono ora di un ulteriore strumento giurisprudenziale per presidiare questo delicato equilibrio.