Con la sentenza 14835 del 3 aprile 2025 (dep. 15 aprile 2025) la Corte di Cassazione, II Sezione penale, è tornata a pronunciarsi sui confini del patteggiamento quando la pubblica accusa è rappresentata dal Procuratore Europeo Delegato (EPPO). Il caso vedeva coinvolta una cooperativa no profit accusata di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 5 e 24 del D.Lgs. 231/2001. Il G.u.p. di Verona aveva omologato l’accordo ex art. 444 c.p.p.; l’ente, però, proponeva ricorso lamentando la violazione del diritto di difesa e della normativa sovranazionale, in particolare dell’art. 6 CEDU. La Suprema Corte ha rigettato il gravame, sancendo principi di forte interesse per professionisti e imprese.
La Corte ha statuito che la scelta di patteggiare costituisce ipso facto rinuncia a contestare le accuse, a prescindere dalla presenza dell’EPPO. Di conseguenza, la sentenza di applicazione della pena diviene ricorribile unicamente per i vizi elencati in modo tassativo dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. (inesistenza delle condizioni di procedibilità, erronea qualificazione giuridica del fatto, illegalità della pena o della misura di sicurezza).
In tema di patteggiamento, il consenso della parte alla definizione del processo con accordo sulla pena implica la sua rinuncia a contestare le accuse e ad esercitare talune facoltà derivanti dal pieno esercizio del diritto di difesa anche nel caso di partecipazione al giudizio del Procuratore europeo delegato, sicché la ricorribilità per cassazione della sentenza resta circoscritta alle sole ipotesi tassativamente indicate dall'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. Commento: la massima evidenzia che l’adesione al patteggiamento ha un «effetto paralizzante» sulle doglianze diverse dai motivi tipizzati. Né l’intervento dell’EPPO, organo sovranazionale recentemente introdotto, né il richiamo ai principi CEDU possono ampliarne il perimetro: il legislatore ha voluto preservare la funzione deflattiva dell’istituto, a garanzia di certezza e rapidità del giudizio penale.
Uno dei motivi prospettati dall’ente era l’asserita impossibilità di interloquire con la Camera Permanente dell’EPPO, che aveva autorizzato l’esercizio dell’azione penale. Tuttavia, la Cassazione ha ricordato che il Reg. UE 2017/1939 e il D.Lgs. 9/2021, di recepimento, non prevedono un contraddittorio preventivo in questa fase. Una volta scelto il plea bargaining, qualsiasi eventuale violazione anteriore resta, di fatto, assorbita salvo incida sulle condizioni di procedibilità: circostanza non ravvisata nel caso di specie.
La pronuncia interessa in modo diretto società ed enti collettivi chiamati a rispondere ai sensi del D.Lgs. 231/2001. In particolare:
La sentenza n. 14835/2025 conferma un orientamento già emerso (cfr. Cass. n. 33145/2020) e offre un’importante bussola per avvocati, compliance officer e organi societari. Patteggiare conviene quando vi è chiarezza sugli addebiti e sull’esposizione sanzionatoria; diversamente, meglio valutare alternative processuali che salvaguardino un più ampio spettro di difese. L’intervento dell’EPPO, invece, non introduce deroghe sostanziali al sistema interno: la sinergia tra normativa nazionale e regole UE si realizza, ma senza scardinare i fondamentali equilibri del rito penale italiano.