Con la sentenza n. 11209 del 27 novembre 2024 (dep. 20 marzo 2025) la Corte di cassazione torna sul confine, spesso labile, tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, stabilendo quando i due illeciti possano coesistere. Il caso riguarda F. C., imputata per condotte poste in essere nei confronti dell’ex compagno e dei figli minori: condotte protrattesi durante la vita comune e proseguite, con modalità diverse, anche dopo l’interruzione della convivenza.
La Corte d’appello di Caltanissetta aveva riconosciuto a carico di F. C. il reato di maltrattamenti sino alla data di scioglimento della convivenza «more uxorio» e, per il periodo successivo, il reato aggravato di atti persecutori. La difesa invocava l’assorbimento delle condotte di stalking nei maltrattamenti, stante la perdurante comune genitorialità. La Cassazione, al contrario, ha confermato il doppio titolo di reato, annullando solo in parte senza rinvio la sentenza di merito per questioni accessorie.
La sovrapposizione tra le due fattispecie genera da anni dibattito giurisprudenziale. La Cassazione ha più volte affermato (ex multis, Sez. 6, n. 10222/2019) che i maltrattamenti assorbono le singole condotte lesive interne al rapporto familiare; ma cosa accade quando quel rapporto si interrompe?
In tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, è configurabile il concorso del primo con l'ipotesi aggravata del secondo in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale, nonostante la persistente condivisa genitorialità.
La massima, oltre a cristallizzare l’esito del caso concreto, offre un criterio generale: la cessazione della convivenza segna il limite temporale oltre il quale le nuove condotte, pur ispirate dalla stessa volontà prevaricatrice, travalicano i maltrattamenti e danno luogo a stalking.
La Suprema Corte fonda la propria decisione su tre passaggi cardine:
Sul piano sistematico, la Corte aderisce all’orientamento conforme (nn. 39532/2021; 15883/2022) e si discosta da quello difforme (n. 33882/2014), privilegiando una tutela graduata della vittima: prima all’interno della famiglia, poi, cessata la convivenza, nell’ambito dei rapporti inter-personali.
Per gli operatori del diritto la pronuncia è di grande utilità:
La sentenza n. 11209/2024 si colloca nel solco di una giurisprudenza che mira a garantire protezione continua alle vittime di violenza domestica anche oltre la fine della relazione. Stabilendo che la cessazione della convivenza fa nascere un autonomo reato di atti persecutori, la Corte di cassazione offre un chiaro indirizzo interpretativo, rafforzando l’efficacia delle norme penali e fornendo agli avvocati un criterio certo per delineare linee difensive e strategie di tutela. Resta, peraltro, la necessità di valutare caso per caso la sussistenza di quel «nuovo» clima di sopraffazione che caratterizza lo stalking, evitando duplicazioni punitive ma senza lasciare zone d’ombra nella protezione dei soggetti vulnerabili.