Con la pronuncia n. 13539 depositata l’8 aprile 2025, la Quinta Sezione della Corte di cassazione affronta un tema di grande interesse pratico: la riparazione per ingiusta detenzione nel caso di indebita applicazione della misura di sicurezza personale della casa di lavoro. Il verdetto, che prende le mosse da un provvedimento della Corte d’appello di Roma del 6 giugno 2024, stabilisce che la restrizione sofferta deve essere indennizzata ai sensi dell’art. 314 c.p.p., al pari di ogni altra forma di privazione della libertà.
L’imputata, S. S. (indicata come M. P.M. S. nel provvedimento), era stata sottoposta alla misura di sicurezza della casa di lavoro, poi rivelatasi priva di presupposti. Dopo la revoca, chiedeva l’indennizzo per i giorni di libertà perduti. La Corte d’appello dichiarava la domanda inammissibile ritenendo che la misura di sicurezza non avesse natura di “detenzione” in senso stretto. La Cassazione ribalta la decisione: la casa di lavoro ha natura restrittiva e, se applicata illegittimamente, genera lo stesso danno esistenziale e patrimoniale che l’art. 314 c.p.p. mira a compensare.
Il ragionamento della Suprema Corte si fonda su un duplice presupposto:
La sentenza richiama, in continuità, le decisioni n. 5001/2009, 11086/2013 e 28369/2022, che già avevano riconosciuto l’indennizzo per misure coercitive atipiche come il ricovero in REMS. Di rilievo, in chiave sovranazionale, anche l’art. 5 §5 CEDU, secondo cui ogni privazione illegittima della libertà impone allo Stato un risarcimento effettivo.
In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, è indennizzabile, ai sensi dell'art. 314 cod. proc. pen., la privazione della libertà personale indebitamente sofferta per effetto dell'applicazione della misura di sicurezza personale della casa di lavoro, avendo la stessa natura restrittiva.
La massima, chiara nella sua semplicità, espande la tutela offerta dall’art. 314 c.p.p. oltre le misure cautelari classiche (custodia in carcere, arresti domiciliari), includendo le misure di sicurezza che, pur formalmente “trattamentali”, incidono di fatto sul diritto fondamentale alla libertà. Per l’avvocato difensore, ciò si traduce nella possibilità di chiedere l’indennizzo ogni volta che la misura sia stata disposta o mantenuta in violazione dei requisiti di legge (pericolosità sociale, proporzione, motivazione).
Alla luce della pronuncia, i presupposti per l’accoglimento della domanda ex art. 314 c.p.p. in caso di casa di lavoro possono essere così sintetizzati:
Sotto il profilo probatorio, sarà strategico documentare giorno per giorno la permanenza nella struttura, le limitazioni subite, gli eventuali pregiudizi lavorativi e familiari, così da quantificare in modo adeguato l’indennizzo richiesto.
La sentenza n. 13539/2024 segna un ulteriore passo verso la effettività della tutela risarcitoria per chi abbia subito una compressione ingiustificata della libertà personale. Estendendo l’alveo applicativo dell’art. 314 c.p.p. alle misure di sicurezza detentive, la Corte riafferma la centralità del principio di proporzionalità e del controllo giurisdizionale sulle restrizioni della libertà. Per i difensori: monitorare la legittimità delle misure di sicurezza diventa ora decisivo non solo in fase esecutiva, ma anche al fine di garantire, a posteriori, un rimedio economico adeguato agli assistiti.