Il diritto penale è un campo in continua evoluzione, chiamato a interpretare le norme in modo da garantire la massima tutela dei beni giuridici, anche di fronte a situazioni complesse. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la sentenza n. 11759 del 28 febbraio 2025 (depositata il 25 marzo 2025), si è trovata a dipanare un nodo interpretativo di grande rilevanza: può l'abitazione di una persona deceduta essere ancora considerata una “privata dimora” ai fini dell'aggravante del furto in abitazione?
La vicenda processuale ha avuto origine da un ricorso presentato avverso una decisione del Tribunale della Libertà per i Minori di Catania, datata 6 dicembre 2024, che aveva riguardato l'imputato T. P.M. S. G. Il cuore della questione verteva sulla configurabilità del reato di furto aggravato, in particolare ai sensi dell'articolo 624 bis del Codice Penale, che punisce il furto commesso “in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa”. Il punto focale era stabilire se l'abitazione di un defunto potesse rientrare in tale nozione, con tutte le conseguenze in termini di gravità del reato e di pena applicabile.
La Corte di Cassazione, con la sua pronuncia, ha fornito una risposta chiara e articolata, rigettando il ricorso e confermando un'interpretazione estensiva e garantista del concetto di privata dimora. La massima, che rappresenta il principio di diritto enunciato dalla sentenza, recita testualmente:
In tema di furto, rientra nella nozione di privata dimora anche l'abitazione di una persona deceduta la cui morte non esclude che, all'interno dell'immobile, possano accedervi altri soggetti - eredi, prossimi congiunti, persone legate da rapporti affettivi o amicali - per svolgere atti di vita privata.
Questa affermazione è di fondamentale importanza. La Suprema Corte ha chiarito che la morte del proprietario o dell'inquilino non priva automaticamente l'immobile del suo carattere di “privata dimora”. Il ragionamento si fonda sul fatto che, anche dopo il decesso, l'abitazione continua a essere un luogo in cui possono svolgersi attività che rientrano nella sfera della vita privata e della riservatezza. L'immobile, infatti, non diventa un semplice contenitore vuoto, ma mantiene la sua potenziale destinazione a ospitare atti di vita privata da parte di coloro che, per legami familiari, affettivi o giuridici (come gli eredi), hanno il diritto o la necessità di accedervi. Si pensi, ad esempio, alla gestione dell'eredità, alla conservazione di ricordi personali o semplicemente alla custodia di beni che ancora necessitano di protezione. Questa interpretazione è in linea con i principi costituzionali di tutela del domicilio, sanciti dall'articolo 14 della Costituzione, che ne garantisce l'inviolabilità come espressione della libertà personale e della riservatezza.
Le conseguenze di questa sentenza sono significative e rafforzano la protezione penale degli immobili, anche in situazioni di lutto. La Corte ha riconosciuto che la nozione di “privata dimora” non è strettamente legata alla presenza fisica e continuativa del titolare, ma alla sua destinazione funzionale. Ciò significa che l'effettiva possibilità di accesso da parte di determinati soggetti per lo svolgimento di “atti di vita privata” è l'elemento discriminante.
Quali soggetti possono accedere all'immobile per svolgere tali atti? La sentenza ne elenca alcuni:
La Cassazione ha, di fatto, esteso la portata protettiva dell'articolo 624 bis c.p., garantendo che la morte del titolare non diventi un varco per la commissione di reati contro il patrimonio in un contesto che, pur privo della presenza del defunto, continua a essere espressione della sua sfera privata e di quella dei suoi successori.
La sentenza n. 11759 del 2025 della Corte di Cassazione rappresenta un importante chiarimento giurisprudenziale. Essa riafferma la centralità della tutela della “privata dimora” come luogo di espressione della personalità e della riservatezza, estendendone la protezione anche quando il titolare non è più in vita. Per eredi e congiunti, questa pronuncia offre una maggiore garanzia contro intrusioni e furti, ribadendo che la memoria e il patrimonio del defunto continuano a godere di una robusta salvaguardia legale. È un segnale forte: la legge protegge la sfera privata e i beni ad essa connessi, senza soluzione di continuità, anche di fronte all'evento più definitivo della vita.