La sentenza n. 20365 del 2023, emessa dalla Corte di Cassazione, offre una riflessione profonda su un tema delicato e cruciale nel panorama giuridico italiano: la condotta intimidatoria da parte del pubblico ministero nei confronti di persone informate sui fatti. Questo pronunciamento non solo analizza il confine tra l'azione legittima dell'autorità giudiziaria e l'abuso di potere, ma stabilisce anche importanti precedenti giuridici per future interpretazioni.
Il caso in esame riguarda l'imputato M. R., il quale è stato sottoposto a una condotta da parte del pubblico ministero che ha sollevato interrogativi circa la legittimità delle modalità di interrogatorio. In particolare, la Corte ha rilevato che il pubblico ministero ha utilizzato minacce e intimidazioni per costringere M. R. a fornire dichiarazioni in merito a indagini in corso, prospettando l'arresto immediato in caso di reticenza.
Condotta intimidatoria e minacciosa del pubblico ministero verso la persona informata sui fatti - Prospettazione dell'arresto immediato in caso di reticenza - Tentativo di violenza privata - Configurabilità - Sussistenza. Integra il reato di tentata violenza privata la condotta del pubblico ministero volta a costringere il soggetto escusso ai sensi dell'art. 362 cod. proc. pen., quale persona informata sui fatti, a rendere dichiarazioni su indagini in corso, confermative dell'assunto accusatorio, prospettando allo stesso, con modalità intimidatorie e violenze verbali, l'arresto immediato quale conseguenza inevitabile e immediata della sua reticenza. (In motivazione, la Corte ha altresì escluso l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 51 cod. pen., anche sotto il profilo dell'eccesso colposo, a fronte di condotta posta in essere in violazione delle norme processuali fondanti il dovere giuridico che si assume dotato di efficacia scriminante).
Questa sentenza ha rilevanza non solo per il caso specifico di M. R., ma anche per la più ampia applicazione del diritto penale in Italia. In particolare, la Corte ha escluso l'applicabilità dell'art. 51 del Codice Penale, che prevede l'esimente per il pubblico ufficiale che agisce nel rispetto delle leggi. La Corte ha affermato che la condotta del pubblico ministero, in questo caso, non può essere giustificata, essendo stata commessa in violazione delle norme processuali.
In conclusione, la sentenza n. 20365 del 2023 rappresenta un passo importante nella tutela dei diritti individuali all'interno del processo penale. Essa chiarisce che l'uso di condotte intimidatorie da parte del pubblico ministero non è accettabile e può configurare un reato di tentata violenza privata. Questo pronunciamento sottolinea l'importanza di un equilibrio tra l'esercizio dei poteri dell'autorità giudiziaria e la salvaguardia dei diritti dei cittadini, contribuendo a delineare i confini dell'azione penale in modo più chiaro e rispettoso dei principi fondamentali di giustizia.