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Imputabilità e Disturbi Psichiatrici: Riflessioni sulla Sentenza n. 22659 del 2023 | Studio Legale Bianucci

Imputabilità e Disturbi Psichiatrici: Riflessioni sulla Sentenza n. 22659 del 2023

La sentenza n. 22659 del 2023 rappresenta un importante punto di riferimento nel campo del diritto penale, in particolare per quanto riguarda l'imputabilità in relazione a disturbi psichiatrici. La Corte di Cassazione chiarisce che l'assenza della capacità di volere può avere un impatto significativo sulla responsabilità penale dell'individuo, anche quando la capacità di intendere è presente. Questa distinzione è fondamentale per comprendere le dinamiche della responsabilità in ambito penale.

La distinzione tra capacità di intendere e capacità di volere

Secondo la sentenza, l'imputabilità di un soggetto può essere influenzata dalla presenza di un disturbo psichiatrico che incide esclusivamente sulla sua capacità di volere. Nella fattispecie, la Corte stabilisce due condizioni necessarie affinché l'assenza della capacità di volere possa essere considerata rilevante:

  • 1. Gli impulsi all'azione devono essere così intensi da annullare la capacità del soggetto di valutare le conseguenze delle proprie azioni.
  • 2. Deve esistere un nesso eziologico tra il disturbo mentale e la condotta criminosa.

Questa posizione è in linea con quanto previsto dagli articoli 85 e 88 del codice penale, i quali disciplinano la questione dell'imputabilità e delle capacità del soggetto al momento della commissione di un reato. La Corte, quindi, non si limita a considerare l'assenza di capacità di intendere, ma pone un forte accento sul volere come elemento cruciale nella valutazione dell'imputabilità.

Idoneità del disturbo psichiatrico ad incidere soltanto sulla capacità di volere e non su quella di intendere, rimasta integra - Conseguenze in ordine all'imputabilità. In tema di imputabilità, l'assenza della capacità di volere può assumere rilevanza autonoma e decisiva, valorizzabile agli effetti del giudizio ex artt. 85 e 88 cod. pen., anche in presenza di accertata capacità di intendere (e di comprendere il disvalore sociale della azione delittuosa), ove sussistano due essenziali e concorrenti condizioni: a) gli impulsi all'azione che l'agente percepisce e riconosce come riprovevole (in quanto dotato di capacità di intendere) siano di tale ampiezza e consistenza da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze; b) ricorra un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato da quello specifico disturbo mentale, che deve appunto essere ritenuto idoneo ad alterare non l'intendere, ma il solo volere dell'autore della condotta illecita. Ne deriva che l'esistenza di un impulso, o di uno stimolo all'azione illecita, non può essere di per sé considerata come causa da sola sufficiente a determinare un'azione incoerente con il sistema di valori di colui che la compia, essendo, invece, onere dell'interessato dimostrare il carattere cogente nel singolo caso dell'impulso stesso.

Le implicazioni pratiche della sentenza

Questa sentenza offre importanti riflessioni non solo per gli operatori del diritto, ma anche per professionisti del settore psichiatrico. Infatti, la valutazione della capacità di volere in un contesto penale richiede una collaborazione interdisciplinare tra legali e esperti di salute mentale. È fondamentale che il disturbo psichiatrico venga analizzato in modo approfondito per stabilire se effettivamente abbia influenzato la capacità di volere dell'imputato.

Inoltre, la sentenza sottolinea la necessità di una prova rigorosa da parte della difesa per dimostrare la cogente influenza degli impulsi. Questo pone una sfida significativa, poiché non basta affermare che un disturbo psichiatrico esiste; è necessario dimostrare il legame diretto tra il disturbo e l'azione criminosa.

Conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 22659 del 2023 della Corte di Cassazione chiarisce in modo significativo il rapporto tra disturbi psichiatrici e responsabilità penale. Essa stabilisce che la capacità di volere e quella di intendere sono due dimensioni distinte, ognuna con il proprio peso nel determinare l'imputabilità. Questa distinzione è cruciale per una corretta applicazione del diritto penale e per garantire che la giustizia sia equamente amministrata. La sentenza invita a un approccio più sfumato e scientifico alle questioni di imputabilità, sottolineando l'importanza della valutazione psichiatrica nel processo penale.

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