Immaginate di affidare le chiavi della vostra casa a una persona di fiducia per ragioni lavorative: un collaboratore domestico, un manutentore, un professionista. Cosa succede se quella fiducia viene tradita e l'accesso, inizialmente legittimo, si trasforma in un'occasione per commettere un furto? Questa questione, tutt'altro che rara, è stata oggetto di un'importante pronuncia della Corte di Cassazione, la sentenza n. 11744 del 2025 (dep. 25/03/2025), che ha fatto chiarezza sui confini del reato di furto in abitazione (art. 624 bis c.p.) in queste particolari circostanze.
La vicenda che ha portato alla decisione della Suprema Corte riguardava l'imputata Al. Ma., la quale era in possesso delle chiavi di un immobile per ragioni di lavoro. Invece di utilizzare tale accesso per espletare le mansioni concordate, la donna si era introdotta nell'abitazione con il preciso intento di commettere un furto. La Corte d'Appello di Napoli aveva già rigettato il suo ricorso, e la Cassazione, con la sentenza n. 11744/2025, ha confermato questa impostazione, ribadendo un principio cardine del diritto penale.
Integra il delitto di furto in abitazione la condotta dell'agente che, in possesso delle chiavi di un immobile per ragioni di lavoro, si introduca al suo interno non per espletare l'attività per la quale l'accesso era stato consentito, ma al fine di commettere un furto.
Questa massima è il cuore della decisione. In termini semplici, la Corte di Cassazione chiarisce che il possesso legittimo delle chiavi non è sufficiente a escludere il reato di furto in abitazione se l'ingresso avviene con la finalità preordinata di rubare. Ciò che conta è l'intento dell'agente: se l'accesso è strumentale a un furto, l'atto integra pienamente il delitto aggravato, poiché viene abusata una situazione di fiducia e violata la sfera di riservatezza del domicilio.
Il delitto di furto in abitazione, disciplinato dall'articolo 624 bis del Codice Penale, è una forma aggravata del furto semplice (art. 624 c.p.). La legge intende proteggere non solo la proprietà, ma anche l'inviolabilità del domicilio e la serenità domestica. La sentenza n. 11744/2025 evidenzia come tale protezione si estenda anche ai casi in cui l'accesso avviene attraverso mezzi apparentemente legittimi, ma con un intento fraudolento. Non si tratta quindi di un semplice furto, ma di un'azione che lede più profondamente la vittima, abusando di un rapporto o di una situazione di vantaggio.
In particolare, la Corte ha ribadito che:
Questo principio è costantemente affermato dalla giurisprudenza, come dimostrano i precedenti richiamati dalla stessa Cassazione (ad esempio, le sentenze n. 16995 del 2020, n. 3716 del 2023 e n. 19982 del 2019), a riprova di un orientamento consolidato e coerente.
La sentenza n. 11744 del 2025 della Corte di Cassazione rappresenta un punto fermo nella giurisprudenza in materia di furto in abitazione. Essa ribadisce con forza che l'intento criminoso prevale sulla modalità di accesso, anche quando quest'ultima sembra inizialmente legittima. È un chiaro monito per chi potrebbe abusare di una posizione di fiducia e, al contempo, una rassicurazione per i cittadini: la legge tutela rigorosamente la propria casa e la serenità domestica, punendo severamente chi ne viola i confini con fini illeciti. Per assistenza legale su questi temi, è fondamentale rivolgersi a professionisti esperti del diritto penale.