La sentenza n. 8569, depositata il 3 marzo 2025, offre uno spunto prezioso per riflettere sui confini applicativi delle pene sostitutive di breve durata. Il caso – furto di energia elettrica – ha portato la Corte di Cassazione (pres. R. C., est. R. S.) a confermare la decisione della Corte d’Appello di Salerno che aveva negato la conversione della pena detentiva in sanzione pecuniaria, ritenendo probabile l’inadempimento dell’imputato. Un tema attuale dopo la riforma Cartabia, che punta a decongestionare il sistema penitenziario ma allo stesso tempo impone valutazioni di concreta efficacia della pena.
In tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il giudice di merito può respingere la richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella detentiva, qualora la tipologia del reato oggetto del giudizio lasci presumere che l'imputato si sottrarrà al pagamento della pena pecuniaria. (Fattispecie di furto di energia elettrica, in cui la Corte ha ritenuto corretto il rigetto della richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella detentiva, in quanto il mancato pagamento del canone lasciava presumere che l'imputato si sarebbe sottratto anche al pagamento della pena pecuniaria).
La motivazione ruota attorno a due concetti chiave: la “prognosi di adempimento” e la “funzione rieducativa” della pena. La Corte richiama l’art. 133 c.p. – criteri di commisurazione – sottolineando che la personalità dell’imputato e la condotta antecedente al reato sono indici utili per prevedere l’effettivo pagamento. Nel caso di specie, la protratta morosità rispetto alle bollette di energia elettrica ha fatto da cartina tornasole: se l’imputato non paga la bolletta, difficilmente verserà la multa sostitutiva.
Il rigetto trova salde radici giuridiche:
La Cassazione allinea così la prassi giudiziaria all’obiettivo, anche europeo, di evitare sanzioni meramente simboliche che possano risultare inefficaci, in linea con le indicazioni della Corte EDU sul principio di effettività della pena.
Per la difesa la sentenza è un promemoria: l’istanza di pena sostitutiva va corroborata da elementi tangibili che dimostrino la solvibilità dell’imputato (buste paga, estratti conto, garanzie patrimoniali). Dal canto suo, il giudice è tenuto a motivare puntualmente il rigetto, evitando formule stereotipate. In mancanza, la decisione può essere censurata in Cassazione, come insegnano i precedenti ricordati nella massima (Cass. 42847/2023; 2341/2024; 45859/2024).
Per gli imputati con situazione economica precaria, restano percorribili le alternative dell’affidamento in prova o del lavoro di pubblica utilità, istituti che presuppongono un vaglio meno stringente sulla capacità di pagamento ma un impegno personale più oneroso.
La Cassazione n. 8569/2024 ribadisce che la pena sostitutiva non è un diritto automatico ma una possibilità subordinata a una prognosi favorevole di adempimento. Il messaggio per operatori e cittadini è chiaro: il sistema punta a pene utili, non meramente formali. I difensori devono quindi preparare dossier economico-patrimoniali solidi, mentre i giudici devono motivare in modo rigoroso la loro scelta, bilanciando esigenze di deflazione carceraria e garanzie di effettività della sanzione.